top of page

Mitreo

Santa Maria Capua Vetere

La Storia del Mitreo

Nonostante la diffusione e il trionfo della religione cristiana in buona parte dei territori dell’Impero Romano, a partire dalla seconda metà del I secolo d.C., la festività relativa alla nascita di Cristo cominciò ad essere strutturata e commemorata soltanto molto tempo dopo. Per la sua rievocazione, si dovette attendere, almeno, al IV secolo d.C., anche se, fino all’epoca alto-medievale, il suo anniversario veniva onorato contestualmente ad altre celebrazioni di derivazione pagana. Per lo più erano cerimonie dedicate a divinità solari, la cui ricorrenza cadeva in concomitanza con il Solstizio d’Inverno. Fra queste, vi era la solennità consacrata alla nascita del Sol Invictus, già identificato, dai romani, con il dio Mithra. Stando ad alcune ipotesi, condivise da vari studiosi di religioni antiche, i festeggiamenti rivolti al dio del Sole Invocato avvenivano il 25 di dicembre, data che, fra l’altro, venne ufficializzata, nel 274 d.C., dall’imperatore Aureliano. L’equiparazione della figura del Sol Invitto con quella di Mithra, il cui culto venne promosso nella città di Roma da Eliogabalo, comportò anche la diffusione della vulgata relativa al suo “Natale”.Secondo la tradizione iconografica romana, Mithra nasceva con le sembianze di un fanciullo da una pietra, la pentra gentrix, all’interno di una caverna dove, poi, vi si recano due pastori con dei doni. Questo primo elemento narrativo basta a stabilire già un confronto diretto con la nascita di Gesù, avvenuta all’interno di una grotta a cui fanno, successivamente, visita i pastori. Nel caso di Mithra, quest’ultimi personaggi sono stati riconosciuti come le divinità reggi-fiaccola: Cautes e Cuatopates. Oltre la nascita, Cristo e Mithra hanno in comune anche la morte; difatti, sia l’uno sia l’altro muoiono per poi risorgere al fine di salvare l’umanità intera dal male.

Prima di diffondersi a Roma, il mitraismo era un culto già affermato in quasi tutto l’oriente; in seguito, ebbe modo di propagarsi in tutti gli altri territori dell’impero. Anche presso l’antica Capua si impose il suo culto, la cui testimonianza è ancora visibile attraverso lo straordinario Mitreo di Santa Maria Capua Vetere, il cui sacello, del II secolo d.C., è giunto integro nella sua struttura.

La nascita di Mithra o del Sol Invictus continuò ad essere rievocata fino a quando tutte le popolazioni pagane o provenienti dal nord Europa non vennero definitivamente convertite al cristianesimo, per quanto non abbandonarono alcuni elementi simbolici, tipici delle loro precedenti tradizioni, come il vischio o l’agrifoglio, piante che ancora oggi vengono impiegate per gli addobbi natalizi casalinghi. 

Processione dei Santi Patroni della Città di Capua

​

La processione dei Santi Patroni di Capua è molto antica. Le sue origini risalgono probabilmente alla fine degli anni Trenta del Cinquecento, quando vennero soppresse la festa della translazione delle reliquie di Santo Stefano, primo protettore della città insieme a Sant’Agata, e l’annessa processione dei preti Inghirlandati, la cui ricorrenza risaliva al IV secolo.

Le vicende di questa particolare celebrazione sono comuni a quelle relative alla solennità degli Inghirlandati che si faceva anticamente a Napoli in ricordo della translazione delle reliquie di San Gennaro.

Ancora oggi sia a Capua sia a Napoli, il sabato precedente la prima domenica di maggio, si svolge la processione dei busti d’argento contenenti le reliquie dei Santi Patroni.

I busti capuani, come quelli partenopei, sono di “pregevolissima fattura e sono parte integrante del Tesoro della Cattedrale”. La loro fattura risale agli anni Venti del Settecento.

Nicola De Angelis, Giovan Battista Buonacquisto, Andrea De Blasio, sono alcuni dei nomi dei maestri argentieri che hanno realizzato le statue.

Generalmente queste opere sono custodite negli armadi della Cappella del Santissimo Sacramento della Cattedrale.

I busti nel corso del corteo vengono affidati alle diverse categorie di fedeli che, guidate dall’Associazione Accollatori di Capua, si prendono cura del loro “accollo”.

La processione si articola secondo criteri ben precisi che prevedono l’attribuzione di un busto ad una specifica corporazione: Santo Stefano al Presbiterio Cittadino, Sant’Agata all’Amministrazione Comunale, L’Addolorata alle Confraternite, San Gaetano da Thiene alla Pro Loco, Sant’Andrea Avellino ai Commercianti-Artigiani e Muratori, Sant’Irene alle Forze Armate, San Sebastiano al Corpo dei Vigili Urbani e San Vincenzo Ferreri, unica scultura in legno, alle Associazioni di Volontariato.

processione busti argentei fine 800.jfif

Castel Volturno

Il Dio Volturno

​

.

 

Un tempo era considerato dagli studiosi un Dio romano, a Roma patrono del vento caldo di sud-est (lo scirocco). In realtà dopo la conquista di Volsinii l'immagine del Dio li venerato fu portata a Roma per evocare la sua protezione a favore dei romani togliendola agli etruschi.

     Castello di Castel Volturno

castello di castel volturno.jfif

 

Il castello fu eretto su un'arcata superstite dell'antico ponte romano sul Volturno della Via Domiziana fatto costruire dall'imperatore Domiziano nel 95 d.C., e che si snodava in un viadotto sorretto da pilae, che si susseguivano per un lungo tratto sulla sponda opposta del fiume.

bassorilievo con castello Chiesa Annunziata Castel  Volturno

               

San Prisco

   Sacello di Santa Matrona in San Prisco

 

Matrona, fu una di quelli: affetta da cronici dolori all'addome, dopo aver sognato un invito dallo stesso San Prisco, raggiunse immediatamente Capua. La leggenda narra che subito dopo la visita e le preghiere recitate sulla tomba di San Prisco, la nobildonna guarì da ogni male.

Mosaici Cappella di Santa Matrona San Prisco

                    Ferragosto a Santa Maria la Fossa

 Tra il 14 e il 16 di agosto nel comune di Santa Maria la Fossa si svolge la “Festa di agosto” chiamata così dai locali, non è altro che il ferragosto svolto nel paesino. È di sicuro la festa più sentita nel paese da sempre ma ha subito vari cambiamenti durante gli anni.La festa ai giorni nostri appunto si svolge in tre date: 14,15,16 di agosto, il primo giorno è dedicato alla processione della Madonna Maria santissima Assunta in cielo, da “assunta in cielo” deriva la postura delle braccia della Vergine proprio ad aprirsi verso il cielo.Per la processione viene donato verso la statua della Madonna molto oro, che poi verrà usato per ricoprire l’Assunta durante la processione e anche denaro che poi sarà usato per i costi dello svolgimento di tutta la festa. La Statua della madonna viene trasportata a mano per le vie del paese per celebrare la sua assunzione seguita dai fedeli e accompagnata anche da fuochi d’artificio, preghiere e dalla musica.

s.mlafì fosaa bianco e nero.jpg

Testimonianze sulla Festa di Ferragosto

1: a quando risalgono le origini di tale festa/tradizione?  Le origini della festa risalgono agli anni ’50 a partire dai quali i cristiani di tutto il mondo celebrano il termine della vita terrena della Vergine Maria, la sua resurrezione, il suo ingresso in paradiso e la sua incoronazione.

 

2: A chi è dedicata la Festa del Ferragosto”?   Tale festa è in onore della Madonna Maria Assunta in Cielo, madre di Gesù Cristo.

 

3: Quando viene celebrata?   I festeggiamenti si protraggono per tre giorni a partire dal 14 agosto, vigilia del Ferragosto, il 15 giorno in cui la Chiesa celebra l’assunzione in cielo della Vergine Maria per proseguire con i festeggiamenti fino a giorno 16.

 

4: Qual è il momento culminante della festa? I momenti culminanti della festa sono due: il primo giorno in cui viene svolta la processione solenne e l’ultimo di folklore durante il quale si tiene il concerto.

 

5: Vi è un’Associazione o Comitato che si interessa della sua organizzazione? Sì, ad organizzare tale festa è il Comitato cittadino “Maria Santissima Assunta in Cielo “del quale sono orgoglioso di far parte.

Voci del popolo Domande a nonno Salvatore

"Prima la festa si svolgeva in più giorni quasi una settimana e le luminate erano molto più grandi. 

Prima durante la festa la chiesa era sempre piena ora c’è meno della metà delle persone, Prima era l’attesa della festa ad essere la festa stessa".

Chiesa Maria Santissima Assunta in Cielo
La chiesa di Maria SS. Assunta in Cielo, situata nell'antico centro di 5.
Maria la Fossa (X-XI secolo), è uno dei monumenti più belli e importanti
del Medioevo meridionale. Essa s'innalza sulla sinistra del fiume Volturno, presso il Porto delle Femmine, in una zona paludosa e ricca di
cacciagione.

La basilica intitolata all'Assunta fu edificata precisamente
nell'anno 1084 da alcuni nobili capuani, sui resti di una chiesa longobarda.

Essa rappresenta nel meridione uno dei monumenti più importanti del Medioevo. Costruita a più riprese dal X secolo in poi, forse da monaci greci, fu ultimata solo in epoca angioina nella seconda metà del XIII secolo, quasi sicuramente dai canonici regolari di S. Antonio di
Vienne (Antoniani). Grazie alla presenza del vicino porto, la chiesa è
stata luogo di culto in varie epoche per mercanti amalfitani, napoletani,
genovesi, pisani, fiorentini, che provenendo da Castelvolturno vendevano lì le loro merci e poi si dirigevano nell'entroterra o proseguivano lungo il fiume verso il centro principale di Capua, distante appena quattro miglia. 

La facciata romanica originaria della chiesa, prima degli eventi bellici del
1943, era preceduta da un nartece ad archi a tutto sesto, retti da alcune
mezze colonne di spoglio. Antiche sono anche le colonne che separano le tre navate, che terminano in tre absidi. La decorazione pittorica
costituisce il più complesso e importante cielo superstite della scuola
campana tra il XII e il XV secolo. Tra gli affreschi più antichi segnaliamo
quello di S. Stefano (XII sec.) nell'abside centrale, di S. Leonardo (XII
sec.) nella navata sinistra, la cui devozione fu importata in epoca
normanna dal piccolo centro francese di Saint-Leonard de Noblat, e le
Opere di misericordia nell'abside centrale (XIII sec.). Di grande impatto
emotivo sono le raffigurazioni della Madonna del velo, della Madonna del
cardellino, della Madonna del coniglio e dell'Annunciazione.

Pignataro Maggiore

Santa Maria della Misericordia

Presso la cittadina di Pignataro Maggiore, tra i vari edifici sacri, si evidenzia la chiesa maggiore intitolata a Santa Maria della Misericordia. Posta nella piazza principale del paese, la sua costruzione venne commissionata da Giuseppe Maria Zurlo, vescovo di Calvi dal 1756. La fondazione di questo nuovo tempio cristiano era stata promossa con lo scopo di sopperire alla mancanza di spazio della precedente fabbrica, esistente dalla seconda metà del Cinquecento, le cui dimensioni interne risultavano esser troppo ridotte e, quindi, non adatte ad ospitare l’accresciuta popolazione di Pignataro. 
Il nuovo complesso, oggi noto come chiesa madre, racchiude sia l’antica fabbrica cinquecentesca che il palazzo vescovile. Internamente è dotato di otto cappelle disposte lateralmente, di un coro ligneo, di un organo a canne, della seconda metà del XIX secolo, di diversi quadri settecenteschi, di un pulpito in marmi policromi e, soprattutto, c’è l’imponente altare maggiore, classico e severo nel suo impianto decorativo; ai lati della mensa vi sono due singolari sculture marmoree, databili agli inizi dell’Ottocento, interamente coperte da un velo, assimilabili, sia dal punto di vista compositivo che stilistico, alle statue della Pudicizia e del Cristo velato, di Antonio Corradini la prima e di Giuseppe Sammartino la seconda, stanti all’interno della Cappella Sansevero di Napoli. 
Trattasi di due figure allegoriche, di cui una identificabile con l’ecclesia, attribuite allo scultore napoletano Angelo Viva. 
Autore attivo tra la seconda metà del XVIII secolo e gli anni Trenta del XIX, inizia il suo apprendistato presso la bottega del Sammartino, di cui divenne un fervente seguace. Per quanto, nel tempo, non abbia ricevuto grossi consensi di critica e di pubblico, Viva lavorò per oltre cinquant’anni, ricevendo commissioni sia nella città partenopea sia nei territori delle province. A Napoli, sue opere si trovano nella chiesa di San Paolo Maggiore, cioè due angeli già disegnati Ferdinando Fuga, nella basilica della Santissima Annunziata, dove eseguì decorazioni in stucco, e, poi, si ricordano il gruppo scultoreo della fontana del Ratto d’Europa, le statue degli evangelisti nella Cappella Pappacoda, gli ornamenti dell’obelisco di Portosalvo, il monumento funebre di Giovanni Paisiello nella chiesa di Santa Maria di Donnalbina e, infine, i lavori di restauro della fontana del Nilo sita nell’omonima piazza. 
Per quanto riguarda le opere di Pignataro, l’elemento del velo, che nella simbologia classica stava a rappresentare la castità, le rende particolarmente interessanti dal punto di vista iconografico, in quanto contribuisce ad inserirle nel gruppo di opere a cui sono stati attribuiti, da attenti storici dell’arte come Rosanna Cioffi, profondi significati massonici, così come già rivelato, dalla medesima studiosa, anche per l’affresco della Biblioteca Palatina della Reggia vanvitelliana, la Scuola di Atene, di Heinrich Füger, il cui soggetto è un chiaro riferimento alla cultura illuminista, ma soprattutto alla cerimonia dello “svelamento” che si teneva nel corso di una “iniziazione massonica”, in modo da farlo investire dalla luce della ragione, così da salvarlo dalle tenebre dell’ignoranza.

 

 

Cancello ed Arnone 

Beni Immateriali

LA STORIA DEL MONUMENTO AI CADUTI

All’armistizio dell’8 settembre 1943. La popolazione, ancorché duramente provata, fino
allo sgomento, dal portarsi del conflitto mondiale, alla notizia dell’epilogo del conflitto,
si riversò nelle strade, si raccolse in chiesa, finalmente fuori dall’incubo delle guerra,
intenta a gioire e pregare.

Aleggiava un unico desiderio, condividere in preghiera un ringraziamento per la fine di
una guerra tormentata e sanguinaria che tanto orrore aveva seminato. Accadde,
purtroppo, che il giorno successivo, appunto il 9 settembre, il paese fu teatro di un
bombardamento pesantissimo che inflisse distruzione e morte in ogni angolo. Le vittime
furono 104 e moltissimi i feriti. Quegli eventi luttuosi, che a distanza di tanti anni,
ancora oggi, sono avvertiti con immutata emozione, hanno insignito il Comune di
Cancello ed Arnone della importante e prestigiosa onorificenza della medaglia di bronzo
al merito civile.

Beni Materiali

La più antica Cappella, di epoca medievale, dedicata a San Biagio, si trovava in località Lagnone, in prossimità delle acque del fiume Volturno. Le continue invasioni delle piene del fiume fecero sì che nel XIX secolo si costruisse un ulteriore edificio di culto alla periferia del paese, distrutto poi durante la prima guerra mondiale.
Sulle rovine della più antica, nel 1980, fu riedificata una nuova Cappella dedicata a San Biagio. Soltanto in occasione della festa, il 3 febbraio, la statua del Santo viene trasferita nella cappella a lui dedicata e durante un
momento di preghiera comunitaria sono distribuiti e mangiati dei pani rituali, detti “cucarielli”. La struttura architettonica dell’attuale edificio sacro è molto semplice: il corpo centrale, dalla forma rettangolare, è sormontato
da un timpano triangolare, privo di ornamenti, i cui contorni sono messi in evidenza da fasce leggermente aggettanti, colorate in contrasto. La porta d’ingresso, rialzata da due gradini, è strutturalmente lineare terminante
con una lunetta circolare; un rosone cieco è situato più in alto. Sul tetto, a sinistra, incapsulata in un castello in ferro c’è una piccola campana in bronzo; sul vertice del timpano svetta una croce in ferro. Solo qualche statua devozionale è applicata all'interno. Punto di forza è la zona presbiterale rialzata di un gradino rispetto al pavimento; è tutta in marmo bianco con venature, nette e intense, di colore grigio.

Beni Immateriali

Sagra della Mozzarella

A differenza di oggi, i volontari del comitato, raccoglievano la mozzarella dai caseifici della zona che veniva posta su dei banchi, allestiti nella piazza principale del paese, appositamente contrassegnati a mano con i nomi dei caseifici produttori. Il tutto si svolgeva in piena allegria, con giochi di piazza, aste, all’insegna della tradizione, con balli locali accompagnati da piccole orchestre musicali. Successivamente, dopo circa 20 anni, l’appellativo di “sagra” venne sostituito con quello di “festa”, ampliandone la visibilità e cambiandone l’organizzazione, allestendo degli stand lungo tutta l’arteria principale del paese, organizzando concerti importanti, con giostre e bancarelle di vario genere, mantenendo comunque l’attenzione sull’autenticità e
la veracità del prodotto che è la mozzarella di bufala DOP, regina indiscussa della festa.

Beni Immateriali

Le Tradizioni legate
alla Santa Patrona

Quella di Cancello ed Arnone, in programma dal 9 fino al
12 settembre in onore della santa patrona Maria Santissima
delle Grazie, si segnala per la ricchezza delle celebrazioni
liturgiche e dei festeggiamenti civili previsti.

Come da tradizione, la statua sacra della protettrice del
comune del basso Volturno percorrere in processione le
strade cittadine e, l' 11 settembre, il parroco celebra la Santa
Messa con Panegirico.

E sul piano storico va ricordato che il 9 settembre cade
l’annuale dell’eccidio del 1943, quando, il giorno dopo
l’armistizio italiano della seconda guerra mondiale, il centro
cittadino venne bombardato dalle forze aeree alleate. Si
contarono 106 morti di tutte le età e la tragedia, ancora oggi,
è nella memoria collettiva della comunità locale.

     Curti

Conocchia

Lungo la via Appia, nel paese di Curti, a pochi km dalla Reggia di
Caserta e ancor meno dall’Anfiteatro, si erige uno dei più bei mausolei
romani che la Campania possa vantare: La Conocchia. Una struttura
alta pressappoco sedici metri, che difficilmente sfugge all’attenzione di
chi si trova a passare per la trafficata ed antica Via. La denominazione Conocchia fu utilizzata nel Medioevo per indicare una certa tipologia di
mausolei, quelli a cuspide, la cui forma affusolata ricordava quella di uno strumento tessile: Conocchia deriva dal latino conuccla,
rocca per filare. Nell'epoca del Grand Tour il mausoleo della Conocchia attirava non solo viaggiatori a caccia di orizzonti ameni, ma
anche vedutisti e pittori. Poi, lentamente, se n'è persa la memoria.

​

Le Carceri Vecchie

Le carceri vecchie è la tomba antica più grande della Campania.
La denominazione “Carceri vecchie” deriva dall’errata credenza che in antico vi fosse una galera per i gladiatori che
combattevano nel vicino anfiteatro campano. In realtà si tratta di
un sepolcro di età imperiale, databile al I secolo d.C.

Le carceri vecchie è la tomba antica più grande della campania.
La denominazione “carceri vecchie” deriva dall’errata credenza
che in antico vi fosse una galera per i gladiatori che
combattevano nel vicino anfiteatro campano. In realtà si tratta di
un sepolcro di età imperiale, databile al I secolo d.C.

Monumento ai Caduti in Guerra

Monumento posto a ricordo dei Caduti di Curti, militari e civili, nel corso
della Seconda Guerra Mondiale. Si trova a nord di Curti, a circa 200 metri
dalla via Appia, che da Capua porta a Caserta. Confina a Ovest con la via
Roma, a Sud con la via Dante Alighieri, ad Est con la Scuola Primaria ed a
Nord con una proprietà privata. Nella stessa area è collocato anche il
Monumento a ricordo dei Caduti nella Prima Guerra Mondiale, formando
così una sorta di memoriale. Alla fine degli anni ’90 è stato inoltre ubicato,
all’interno dell’area (accanto al monumento centrale), un cannone.

  BENI IMMATERIALI

Festa di San Rocco e San Michele Arcangelo

 

Dal 17 al 19 settembre ci sono i festeggiamenti in onore di San
Rocco e San Michele Arcangelo, patroni di Curti. La processione
viene svolta di pomeriggio, con le sacre immagini di San Rocco e San
Michele Arcangelo che, sui troni armati di fiori, sono portate in
solenne processione dagli accollatori preceduti da congreghe,
associazioni e autorità locali con l'accompagnamento di complessi
bandistici. Durante la processione, in via IV Novembre, si assiste allo
spettacolo pirotecnico.

    Beni Materiali di Santa Maria Capua Vetere

Il Teatro Garibaldi

E' un edificio teatrale lirico di Santa Maria Capua Vetere ideato da Antonio Curri, fondato nel 1890 e inaugurato nel 1896, dotato di 228 posti. Il 28 ottobre 1864 il municipio di Santa Maria Capua Vetere bandì un concorso di progettazione per la realizzazione di un
teatro pubblico, essendo il comune deciso ad aumentare il proprio prestigio e sprovvisto di un qualsiasi teatro stabile a differenza di città dalla più consolidata tradizione come Caserta ma soprattutto Capua.

il 1º marzo 1887, fu bandito un altro concorso per un progetto dalle caratteristiche simili (3 ordini di palchi invece di 4 e un minor numero di sale) e, tra i progetti presentati, fu scelto quello di Antonio Curri che si ispirò all'Opéra Garnier di Parigi. I lavori, iniziati il 13 agosto 1889, furono
aggiudicati alla ditta D'Agostino e Casella di Salerno e furono terminati nell'arco di sette anni. La spesa complessiva, originariamente stimata in lire 200.000, risultò, a lavori ultimati, pari a Lire 450.000, più del doppio di quanto inizialmente previsto. Il 12 aprile del 1896 il teatro, intitolato a Giuseppe Garibaldi anche per via dell'importanza della Battaglia del
Volturno nel processo dell'Unità d'Italia, fu inaugurato con la messa in scena di La forza del destino di Giuseppe Verdi, diretta dal maestro Vincenzo
Grandine.

Il Palazzo Teti Maffuccini

è un edificio ottocentesco collocato
all’interno del centro abitato di Santa Maria Capua Vetere. E’
stato costruito nel 1839 dall’avvocato Filippo Teti, è passato poi
alla famiglia dell’avvocato Maffuccini e successivamente nelle
mani di Nicola Di Muro

L’edificio, così come si evince dalla lapide in pietra posta sul
portale d’acceso, fu edificato, intorno al 1839, per volere
dell’avvocato Filippo Teti e, in due diverse occasioni, si è
ritrovato al centro delle vicende politiche che hanno visto la
nascita del Regno d’Italia. Infatti, così come recita la seconda
lapide commemorativa posta in facciata, quella che si trova sulla
sinistra del portale di ingresso, all’interno di questo palazzo, nel
1860, alloggiò Giuseppe Garibaldi e, nel Novembre dello stesso
anno, proprio al suo interno, fu firmata la resa borbonica.

      BENI IMMATERIALI

Festa dell'Assunta

I primi cenni storici alla "Festa dell'Assunta"
risalgono al XV secolo come dimostrano le visite
ufficiali dei sovrani d'Aragona a Santa Maria
proprio in occasione di tale festività. La
manifestazione prende vita con la solenne
celebrazione eucaristica, officiata
dall’Arcivescovo e si conclude con il tradizionale
« incendio del Campanile». Nei pressi di Largo
Matteotti, la piazza antistante il Duomo di Santa
Maria Maggiore vengono allestiti fuochi
d’artificio e giochi pirotecnici accompagnati da
brani di musica classica, dedicati all’Assunta e a
San Simmaco
.

Il finale: l'incendio del campanile 

Esso è la simulazione di un rogo che si placa nel momento in cui compare
l’immagine Mariana, ma è anche la manifestazione di una devozione
millenaria che dimostra un forte senso civico in essa è evidente il sincretismo
pagano-cristiano, cioè il passaggio cittadino, culturale e sociale dalla antica
Capua a l’odierna Santa Maria Capua Vetere.

Festa di San Simmaco

Festa patronale la si celebra il 22 ottobre in onore di San Simmaco
Vescovo, compatrono della città con la Vergine Assunta. San
Simmaco di Capua, Vescovo e patrono di Santa Maria Capua Vetere,
muore il 22 ottobre 449. Proviene da un’importante famiglia
senatoria.

Diventa vescovo di Santa Maria Capua Vetere nel 430, durante il
pontificato di Celestino I. Il suo episcopato dura 19 anni.

Probabilmente partecipa al consiglio di Efeso del 431, che proclama
la divina maternità di Maria (dandole il titolo di “Theotokos”). Nel
432 fonda, in onore della Vergine, la basilica di Santa Maria
Maggiore, che riesce a sopravvivere alla distruzione dei saraceni e
che, come cattedrale, diventa il nucleo della futura Santa Maria Capua
Vetere. Alla sua morte viene sepolto nella basilica da lui fatta
edificare.

I taralli dell'Assunta: una tradizione popolare 

Un’usanza che nei tempi moderni si è persa per strada.
Molti anni fa i giovani di Santa Maria Capua Vetere
nel giorno del 15 agosto regalavano i taralli
dell’Assunta alla propria fidanzata. Il dono diventava
simbolo e pegno d’amore alla stregua di un anello di
fidanzamento visto l’alto valore economico e per la
specifica bontà del tarallo.

I taralli dell’Assunta hanno origini antichissime e si
presentano come due taralli sovrapposti che
cuocendosi, si aprono evocando la Corona della Beata
Vergine Assunta. Si preparano impastando uova e
farina. Si aggiungono dei liquori e si posizionano su
una teglia imburrata e cotti al forno.

San Paride: patrono di Teano

San Paride I^ di Teano, vescovo di Grecia, III secolo – Teano (CE), 5 agosto 346 Il territorio di Teano è caratterizzato da una sentita tradizione religiosa che viene ancora oggi profondamente vissuta nelle tante “feste” che scandiscono con i loro riti, talvolta antichi, lo scorrere delle stagioni. Il 5 agosto è la giornata dedicata a San Paride, il primo Vescovo e Patrono di Teano, il fondatore della comunità cristiana nella nostra città. La leggenda vuole che questo Santo, proveniente dalla Grecia, si sia fermato a Teano e che qui abbia ingaggiato uno scontro con un drago che terrorizzava gli abitanti della città. Sul luogo dove il drago fu definitivamente ricacciato nelle tenebre del mondo sotterraneo, venne eretta una chiesa, oggi finalmente restaurata e visibile, nelle sue imponenti linee romaniche, sulla via che da Torricelle sale verso Teano. La festa di San Paride, coincidente con il periodo delle ferie estive per il mondo del lavoro, segna il momento del rientro nelle loro famiglie dei tanti concittadini che sono andati a vivere altrove, sia in Italia che all’estero

LA NASCITA DELLA BASILICA DI SAN PARIDE E LA DIFFUSIONE DEL CRISTIANESIMO

Fu proprio lì, dove aveva combattuto contro il malefico dragone, che nacque la Basilica di San Paride ad fontem. In quel luogo, dopo l'uccisione della bestia, si sviluppò una sorgente di acqua purissima. Questa rappresentava il simbolo della purificazione, della liberazione definitiva del popolo di Teano dalle perverse catene delle religioni pagane. I catecumeni venivano dunque immersi nelle incontaminate acque sorgive, le quali sollevavano dal cappio depravato del Dio Dragone i giovani cristiani.

San Paride compì una feroce battaglia contro tutto ciò che poteva corrompere le anime dei fedeli. E la Basilica incarna proprio questo spirito di rivolta nei confronti del paganesimo. Edificata molto probabilmente nel XI secolo, essa mantiene ancora oggi quelle che sono le caratteristiche dello stile romanico, con il suo marmo bianco e la pianta rettangolare.

San paride ad Fontem, un antica basilica nel territorio di Teano

Teano, antica città osco-sidicina, poi romana della Campania Felix, venera quale principale protettore San Paride, vescovo e confessore, che fu suo presule secoli addietro. Al Santo è, da oltre un millennio, dedicata una notevole chiesa medievale, la Basilica di San Paride, sita a circa 1 km dall'abitato medievale e attuale. La chiesa eretta e dedicata a San Paride, vissuto nel IV secolo e noto per aver debellato il culto idolatrico dei sidicini, è localizzata presso il corso del fiume Savone (Savo) e la sua denominazione è infatti nota come San Paride ad Fontem,  probabilmente edificata sul sito di una basilica paleocristiana, tanto si desume da reperti di età più antica messi in luce da scavi recenti effettuati sotto la chiesa. La chiesa, come ci appare oggi, risale alla fine del I° millennio, epoca in cui sorsero a Teano altre due chiese monastiche molto simili nell'impianto architettonico a quella di san Paride: San Benedetto e Santa Maria de Foris. L'attuale basilica ha uno schema tipicamente romanico rettangolare con tre navate ed abside semicircolare. Le tre navate sono spartite in sei campate e separate da arconi sorretti su ogni lato da cinque pilastri a base quadrangolare. Sei monofore per lato, in asse ai sottostanti arconi, illuminano la navata centrale.

Sulla facciata sopra il portale di ingresso due semplici monofore. Interessanti sono le quattro semicolonne che attestano l'esistenza di un antico portico che precedeva la facciata. Il catino dell'abside conserva un affresco settecentesco e tracce di un precedente affresco seicentesco. Nel XV secolo la chiesa, ormai lontana dall'abitato di Teano, che dopo le incursioni barbariche si era ristretto solo nella parte alta della città romana, fu ceduta al Sovrano Militare Ordine di Malta e divenne sede di una importante precettoria nell'ambito del Priorato di Capua. Del patronato dell'Ordine resta traccia nel grande affresco dell'abside con la Vergine affiancata da san Giovanni Battista, patrono dell'Ordine, e da san Paride, titolare della commenda gerosolimitana e della chiesa. Sulla fascia che incornicia l'affresco, campeggia lo stemma dell'Ordine con la bianca croce ottagono in campo rosso.

                        Teano Dea Popluna dell'antica Teanum Sidicinum

La testa fittile rappresenta una divinità, Popluna, a cui è dedicato un importante santuario che occupava la sommità di una delle alture circondate dal Savone.
Popluna, dea materna e guerriera, protettrice del popolo, sia negli aspetto connessi alla nascita e protezione dei fanciulli, sia nella difesa in armi del territorio.
Di origine centro-italica la dea sembra attesta a Roma già in età arcaica dove fu poi assimilata a Giunone.

                         I Bottari: Festa Storia e Tradizione

Festa: La festa in onore di Sant’Antuono (ovvero Sant’Antonio Abate) è la festività più importante e sicuramente più sentita dal popolo di Macerata Campania e dalle popolazioni dei paesi limitrofi. Essa rappresenta un momento storico, culturale, artistico–folcloristico dell’intera cittadinanza e viene celebrata il 17 di gennaio di ogni anno. L’evento nella sua interezza è caratterizzato sia da momenti dedicati al culto del Santo, che da momenti di puro e storico folklore popolare. II culto, inteso come devozione e venerazione, che i maceratesi tributano a Sant’Antonio Abate segue i normali canoni della liturgia ecclesiastica e, nei giorni di festività, questi si concretizzano in funzioni religiose come da liturgia. Per quanto riguarda il folklore abbiamo la tipica ed ineguagliabile sfilata delle “Battuglia di Pastellessa”, ovvero dei “Carri di Sant’Antuono” sui cui trovano alloggio i cosiddetti “Bottari di Macerata Campania”, che ripropongono l’antica sonorità maceratese dall’omonimo nome la “Pastellessa” (o “Pastellesse”). La particolarità legata ai Bottari di Macerata Campania e alla Pastellessa è dovuta essenzialmente alla tipologia di strumenti musicali utilizzati: i classici e conosciuti strumenti musicali, sono sostituiti con botti, tini e falci, cioè con strumenti e arnesi di uso contadino che assumono una nuova veste di natura musicale. «Le percussioni ottenute dal battere continuo dei magli sulle botti, il rollio delle mazze sui tini e gli alti ottenuti battendo dei ferri sulle falci portano alla creazione di quel “magico” suono chiamato Pastellessa»

Storia
Per capire come sono nati gli antichi riti
tradizionali della Festa di Sant’Antuono a
Macerata Campania bisogna fare un passo
indietro nel tempo fino ad arrivare al XIII
secolo. Al tempo il paese di Macerata
Campania si presentava come una comunità
prevalentemente agricola ed artigianale, dove
il lavoro dei campi richiedeva l’uso di una ricca
gamma di attrezzi e strumenti che venivano
fabbricati dagli artigiani locali. Costoro,
durante le tradizionali fiere agricole, per
evidenziare la solidità degli attrezzi da un lato e
per attirare l’attenzione dei passanti dall’altro,
percuotevano con magli le botti, con mazze i
tini e con ferri le falci, creando una commistione di suoni che scoordinati ed
asincroni apparivano persino assordanti, ma che con i voluti o forse fortuiti
miglioramenti ritmici, portarono alla creazione di quelle peculiarità sonore che
ancora oggi caratterizzano la musica a Pastellessa.
Un’antica legenda popolare vuole, inoltre, che la Pastellessa sia nata come rituale
per “scacciare il male”: infatti si racconta di contadini che percuotevano
freneticamente botti, tini e falci nel tentativo di scacciare gli spiriti maligni dagli
angoli bui delle loro cantine. Questo rituale ripetuto poi all’aperto, secondo l’antica
legenda, rappresentava un aiuto propiziatorio per il buon raccolto.
Nato come rituale pagano, questa tradizione è confluita nella festa religiosa in onore
di Sant’Antonio Abate, patrono degli animali e Santo protettore dalle avversità del
fuoco.

Tradizione

La sfilata dei Carri di Sant’Antuono, ovvero delle Battuglie di Pastellessa, è il momento più importante del folklore maceratese. Per questa occasione vengono allestiti dei carri allegorici di una lunghezza media di 16 metri e larghezza e altezza di 3.50 metri, su cui trovano alloggio dei particolari gruppi denominati appunto Battuglie di Pastellessa. La Battuglia di Pastellessa, composta da oltre 50 percussionisti denominati Bottari di Macerata Campania e coordinata dalla figura più importante, il Capo battuglia, ripropone la tipica musica a Pastellessa accompagnata dai canti tipici di Terra di Lavoro, dove botti, tini e falci, usati come strumenti a percussione, scandiscono particolari poliritmie dai significati lontani e profondi, che trasmettono la forza della cultura contadina di Macerata Campania, unica nel suo genere. Nella tarda mattinata del 17 gennaio, ultimo giorno della festività di Sant’Antonio Abate, tutti i carri si dispongono lungo il corso della via Garibaldi a Macerata Campania. Da qui poi partono, uno alla volta, per esibirsi davanti al Comitato dei festeggiamenti, alle varie associazioni ed autorità, nella piazza al centro del paese, dove il popolo si raccoglie per assistere all’esibizione e all’accensione dei fuochi pirotecnici “figurati”. E’ questo il culmine della festa: le voci della piazza, la frenesia della folla, il suono assordante degli strumenti si fondono e rendono questa esperienza unica e coinvolgente. Il suono, prodotto con strumenti di evidente cultura rurale ed artigianale (lavorazione del legno), scandisce arcaici ritmi processionali: il ritmo a “pastellessa” , il ritmo a “muorte” e il ritmo a “tarantella”. Le botti, le tinelle (i cupelle) e le falci (i faucioni), semplici attrezzi da contadino e prodotti da artigiani locali (i mannesi o maestri d’ascia), diventano, sapientemente percossi da un gruppo di persone, degli strumenti musicali che producono ritmi molto caratteristici. L’esibizione dei carri, il 17 gennaio, è il momento finale di una serie di preliminari che sono i tasselli che formano l’intera immagine del Carro di Sant’Antuono. Il primo tassello è quello dell’allestimento (preparazione) dei carri. La “battuglia” dell’anno precedente inizia ad individuare il percorso preparatorio e a distribuire incarichi e mansioni. Alcuni preparano il piano di interventi strutturali e di ampliamento della superficie di carico del carrello/rimorchio (che poi diverrà il Carro di Sant’Antuono). Altri iniziano a controllare la sonorità di botti, tini e falci e ad intervenire con il procedimento della battitura dei cerchi e delle doghe, nel caso che le botti o i tini risultassero desonorizzate. Altri pensano alla scenografia e studiano drappeggi, colori, slogan. Altri ancora si dedicano al problema musicale, riascoltando le registrazioni dell’anno precedente e decidendo quali filastrocche scegliere o se proporne di nuove. Tutti questi interventi mirano a preparare il carro per il giorno della festa. Anche ora il “carro” è il centro di tutta la manifestazione di religiosità, oggetto e soggetto centrale di un folklore iniziato moltissimi secoli addietro. Alla fine dei preparativi il Carro di Sant’Antuono si presenta, al di là di addobbi, festoni, catenelle di carta ed altri ornamenti colorati, sostanzialmente come un grosso carro con dei rami di palma disposti ad arco con ’effigie di Sant’Antuono appesa al primo arco di palme a significare che l’aspetto folcloristico è motivato dalla devozione al Santo. Sul piano di carico, modificato a seconda delle esigenze di spazio necessario per la sistemazione di botti, tini e suonatori, viene posto un impianto di amplificazione. La parte bassa (ruote, balestre, putrelle e travi) viene poi coperta con un telo, che, chiuso a punta davanti e dietro, dà al carro la parvenza “non intenzionale” di una nave, come a voler rievocare la fantomatica leggendaria credenza che il Santo si sia trasferito dall’Egitto in Italia a bordo di una nave. Ma ciò non risulta a verità perché in “BIBLIOTHECA SANCTORUM”, a pagina 113, è esplicitamente detto: “Le reliquie, trasportate ad Alessandria e deposte nella Chiesa di S. Giovanni Battista, verso il 635, in occasione dell’invasione araba dell’Egitto, furono rilevate e portate a Costantinopoli. Di qui, nel secolo XI, passarono alla Motte–Saint–Didier in Francia, recate da un crociato al suo ritorno dalla Terra Santa!”. Anticamente i carri venivano allestiti su carrette e trainati da persone. Successivamente le carrette furono sostituite da carri trainati da buoi o da cavalli ed abbelliti con frasche di palme, sotto le quali trovavano alloggio i Bottari di Macerata Campania, con i rispettivi peculiari strumenti, e il Capobattuglia, il quale scandiva il tempo e la durata dell’esecuzione con particolari gesti e a colpi di fischietto. Oggi tutti hanno sostituito col trattore il lavoro del bue e del cavallo, e i carri hanno acquisito dimensioni molto più imponenti di quelli originali, ma nonostante ciò, la manifestazione conserva ancora i contenuti tradizionali. I carri, così preparati, sfilano per le vie del paese e dei paesi limitrofi, mentre gli occupanti cantano filastrocche, mottetti e cantilene e percuotono armonicamente botti, tini e falci.”.

bottom of page